Paradiso

Il termine paradiso possiede due significati: il primo indica, nella tradizione biblica, quel luogo primordiale dove Dio collocò l'uomo appena creato (Genesi, 2); il secondo indica, nell'ambito delle teologie fondate sull'interpretazione dei testi biblici, quel luogo, celeste o terrestre, dove verranno destinati gli uomini da Dio giudicati come "giusti". Nel significato traslato della seconda accezione, con il termine "paradiso" si rendono termini di altre lingue, e di altre religioni, che indicano analoghe credenze in un luogo felice, post-mortem, riservato a coloro che hanno condotto una vita da "giusti".
Origine del termine "paradiso"
Il termine italiano "paradiso" (così come l'inglese paradise, il francese paradis, il tedesco paradies e lo spagnolo paraíso) viene dal latino ecclesiastico paradīsus, a sua volta adattamento dal greco biblico παράδεισος (parádeisos), nell'intenzione di rendere il termine ebraico גן (gan, "giardino") ovvero "giardino [dell'Eden]"[1].
La traduzione della Septuaginta opera un cambiamento semantico nel significato del termine che passa dalla sfera profana a quella religiosa; l'uso nel senso tecnico si trova per la prima volta nel terzo dei Testamenti dei Dodici Patriarchi, il testamento di Levi, 18, 10: "Inoltre Egli [il Sommo sacerdote del futuro] aprirà le porte del paradiso e devierà la spada puntata contro Adamo".[2]
Il termine greco antico παράδεισος deriverebbe dal ricostruito medio iranico, *pardēz[3], mentre è correlato all'attestato antico iranico, precisamente avestico[4], pairidaēza, dove tuttavia non possiede alcun significato religioso, indicando il "recinto", derivando in quella lingua da pairidaēz (murare intorno, circondare con mura), quindi da paìri (intorno) + daēz (accumulare). All'avestico pairidaēza sono correlati i ricostruiti antico persiano *paridaida e il medo *paridaiza.
La prima attestazione del termine è quindi l'avestico pairidaēza, di conseguenza la prima attestazione di questo stesso termine – anche se con significato diverso da quello in uso oggi – si riscontra in due passaggi nello Yu(va)tdēvdāt contenuto nell'Avestā: Template:Q
Il termine di ambito iranico pairidaēza/*paridaida, partendo dall'originario significato di "recinto", "luogo recintato", indica quindi quei giardini, o meglio parchi, privati e cintati, propri dei sovrani dell'Impero achemenide, i quali ne ereditarono l'uso dagli Assiri[5]. Tali pairidaēza consistevano in una parte coltivata a giardino e in un'altra lasciata selvaggia, riserva di caccia per i re.
Nei testi in lingua greco antica è attestata l'esistenza di tali "giardini" persiani (il testimone più antico è in Wilhelm Dittenberge, Sylloge Inscriptionum Graecarum, 2), mentre la loro prima descrizione è in Senofonte (430/425-355 a.C.) Economico (IV, 20 e sgg.), presente in altre opere dello stesso autore (cfr. ad esempio Anabasi, I, 2,7). Template:Q
Il termine, di origine iranica, entra nelle lingue semitiche con l'accadico pardēsu già col significato di "giardino", "parco"[6]; mentre il suo diretto corrispondente in ebraico lo si riscontra invece nella bibbia in lingua ebraica, ad esempio con il termine פרדס (pardês), per sole tre volte: Neemia, 2,8; Qoèlet, 2,5; Cantico dei Cantici, 4,13, avente qui, tuttavia, il significato di "frutteto", o "bosco"; successivamente il termine verrà utilizzato anche nella letteratura rabbinica (cfr., ad esempio, nel Talmud, Ḥagigah 14b, dove tuttavia già acquisisce implicitamente il significato di "luogo di beatitudine celestiale").
Le nozioni di "paradiso" nell'ebraismo biblico, del Secondo Tempio e rabbinico
Il mito biblico di Eden, il "paradiso terrestre"

In questo passo di Genesi (libro in lingua ebraica che si ritiene composto intorno al VI secolo a.C.) troviamo dunque l'espressione גן־בעדן (gan bə‘êḏen, "giardino in Eden"), quindi il nome del "paradiso terrestre" in cui ai primordi della storia dell'uomo, il dio suo creatore collocò il primo uomo "Adamo". Altri passi della Bibbia si riferiscono a questo stesso "paradiso terrestre" con altri nomi:
- כגן־יהוה: kə-ḡan- YHWH, "come il giardino di YHWH" (come il giardino di Dio), in Genesi 13,10;
- בעדן גן־אלהים: bə-‘ê-ḏen gan-'ĕ-lō-hîm, "in Eden giardino di Elohim" (in Eden il giardino di Dio), in Ezechiele 28,13.
In questo giardino si consuma quel mito biblico in cui Adamo, convinto da Eva, a sua volta sedotta dal "serpente" (הנחש, nâchâsh)[7] mangia il frutto "dell'albero della conoscenza del bene e del male" ( ועץ הדעת טוב ורע, wə-‘êṣ had-da-‘aṯ ṭō-wḇ wā-rā‘) e per questo verrà cacciato da Dio insieme alla compagna dal giardino di Eden affinché non mangiassero anche il frutto dell'"albero della vita" (ועץ החיים, wə-‘êṣ ha-ḥay-yîm) divenendo così immortali (Genesi 3). Il che potrebbe significare che mangiando dell'"albero della conoscenza del bene e del male", la coppia umana avrebbe potuto identificare l'"albero della vita", altrimenti nascosto, e questo spiegherebbe anche la ragione per cui il serpente, anche lui interessato all'immortalità, avrebbe convinto Eva a violare il comando divino[8].
L'origine del significato del nome ebraico Eden è sconosciuto, fino a qualche decennio fa lo si riteneva eredità diretta del termine accadico edinu, a sua volta resa del sumerico edin, col significato di "piana", "steppa". Tuttavia la scoperta nel 1979, a Tell Fekheriyeh (al confine tra la Turchia e la Siria), di un'iscrizione bilingue accadico-antico aramaico risalente al IX secolo a.C. ne confermerebbe il collegamento alla radice del semitico occidentale *dn (lussureggiante, gradevole)[9], quindi col significato di "delizioso", "[giardino] delle delizie".
Se è evidente il debito biblico nei confronti del racconto sumerico, e di analoghi in contesto mesopotamico, nella Bibbia tale ambito di "paradiso terrestre" supporta un racconto dagli evidenti contenuti morali[10].
Le nozioni di "caduta" e di "peccato originale" dell'uomo, derivati dalla violazione del divieto divino di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, non attengono originariamente alle esegesi ebraiche ma solo a quelle di derivazione cristiana, entrando tardivamente nell'ebraismo grazie alla letteratura cabalistica medievale[10].
Come vedremo meglio più avanti, la letteratura rabbinica medievale distinguerà due Eden, quello "terrestre", luogo della coppia umana primordiale, e quello "celeste", luogo di beatitudine per le anime giudicate da Dio come "giuste"[10].
Le dottrine ebraiche inerenti all'aldilà
Nel testo biblico vi sono due indirizzi per il destino dei defunti: da una parte quello di tornare polvere in quanto si era polvere (Genesi, 2,7; 3,19), oppure a seguito della punizione divina dopo il "peccato" dei progenitori dell'umanità (Genesi, 3, 22-24), ma in altri passi biblici (ad esempio: Isaia, 14, 9-12; Ezechiele, 32,17-32) il destino degli uomini è quello di scendere nello אול (she'ol, gli "inferi"), luogo da cui non si risale. Tale luogo viene indicato[11] anche con il termine... ארץ חשך (ʾereẓ ḥōšeḵ) col significato di "terra di tenebra".
Tali termini[12] e nozioni sono strettamente correlati alla cultura religiosa mesopotamica[13].
Ma al Dio della Bibbia è riservato il potere di resuscitare chi è morto: Template:Q
Tuttavia ci sono due eccezioni bibliche di uomini che non sono scesi nello she'ol per sempre: Enoch (Genesi, 5,24) ed Elijah (II Re 2,11); la loro condizione è analoga alla narrazione soprariportata del sumerico Ziusudra (il Noè sumerico, in ulteriore letteratura in lingua accadica, come il Poema di Atraḫasis o nell'Epopea di Gilgameš, conosciuto anche come Atraḫasis o Utanapištim).
Il più antico testo biblico che tratta della resurrezione dei morti è in Daniele 12,1-2, opera apocalittica risalente al II secolo a.C. redatta durante le persecuzioni di Antioco IV: Template:Q
Tale nozione di "resurrezione" non riguarda, tuttavia, l'intero genere umano, ma solo agli appartenenti al popolo di Israele, più precisamente allo scopo di sostenere il valore del martirio e quindi della sua ricompensa (o punizione per i nemici)[14].
Questa idea di "resurrezione" va tuttavia distinta dall'idea di "immortalità" dell'anima che invece entra nell'ebraismo della Diaspora da analoghe nozioni proprie della cultura greco-romana[14].
Tale idea di immortalità dell'anima la si riscontra, ad esempio, nel libro giunto a noi in lingua greca, La sapienza di Salomone (II-I secolo a.C.; testo non accolto nella Bibbia in lingua ebraica, la cui canonizzazione risale al Medioevo): Template:Q
Anche nelle opere del filosofo platonico ebreo di lingua greca, Filone di Alessandria[15] (I sec. a.C.-I sec. d.C.), si presenta questa nozione di "anima immortale", opere, tuttavia, che non influenzarono il successivo ebraismo rabbinico[16].
Va dunque precisato che l'idea di "immortalità dell'anima" di derivazione greca implica un dualismo tra anima e corpo, quest'ultimo inteso come "prigione" peritura dell'anima da cui questa si deve liberare definitivamente; mentre l'idea di "resurrezione" intende congiungere l'anima e il corpo in una nuova vita maggiormente compiuta[17].
Per quanto l'argomento non sia stato frequentemente affrontato nella letteratura rabbinica, il tema dell'aldilà trova comunque una posizione ben chiara nella seguente affermazione contenuta nella Mishnah: Template:Q a cui segue la spiegazione che tale "mondo a venire" è precluso a coloro che negano la "resurrezione dei morti".
Successivamente in questo modo precisata nel XII secolo dal filosofo e rabbino Maimonide: Template:Q
Nel cristianesimo
Nel cristianesimo in generale, il paradiso è uno dei due stati definitivi degli uomini dopo la morte. L'altro è l'inferno. Il paradiso è l'unione definitiva tra Dio e l'uomo, come viene simbolicamente visto nella Bibbia (Cantico dei cantici, Apocalisse di Giovanni), ed è la più profonda delle aspirazioni dell'uomo, conducendolo definitivamente alla felicità (v. I Corinzi, XIII, 12; I Giovanni, III, 2).
Un'altra interpretazione cristiana del paradiso, di cui è testimonio una credenza della Chiesa copta, è quella di una dimora temporanea degli spiriti dei giusti fino a quando, riuniti con i rispettivi corpi nella risurrezione della carne, saranno trasferiti, dopo il giudizio universale, alla Gerusalemme celeste.[18]
Nei libri dei Maccabei, libri deuterocanonici non inclusi nel canone ebraico e nei canoni protestanti, si esprime la certezza della risurrezione dei morti e della vita eterna. Eppure Qoelet (Ecclesiaste) 3,19-20 afferma:
« 19.Infatti la sorte degli uomini è la stessa che quella degli animali: come muoiono questi così muoiono quelli. Gli uni e gli altri hanno uno stesso soffio vitale, senza che l'uomo abbia nulla in più rispetto all'animale. Gli uni e gli altri sono vento vano.20.Gli uni e gli altri vanno verso lo stesso luogo: gli uni e gli altri vengono dalla polvere, gli uni e gli altri tornano alla polvere. »
Nella Bibbia la parola "Paradiso" compare in tre brani del Nuovo Testamento:
- (Vangelo di Luca 23:43) Quando uno dei malfattori crocifissi a destra e a sinistra di Gesù sgrida il suo compagno, il quale stava schernendo Gesù; in tale episodio il malfattore, resosi conto di essere giustamente condannato per le proprie opere malvagie, si rivolge a Gesù chiamandolo Signore, chiedendogli di ricordarsi di lui quando sarebbe venuto nel Suo regno. Gesù risponde allora affermando che il malfattore sarebbe stato con lui quel giorno stesso in Paradiso. Il malfattore, condannato dalla giustizia degli uomini, viene dunque assolto dalla condanna del peccato per mezzo della fede in Gesù Cristo. La via al Paradiso, il giardino di Eden, che la disubbidienza di Adamo ed Eva aveva reso inaccessibile all'uomo, viene riaperta da Colui che è la Via, la Verità e la Vita: Gesù Cristo
- (Seconda lettera ai Corinzi 12:1-4) L'Apostolo Paolo riferisce indirettamente di una propria esperienza soprannaturale, nel quale egli, definendosi "un uomo in Cristo", riferisce di essere stato rapito fino al Terzo Cielo, in Paradiso, e di aver udito parole ineffabili, che non è lecito ad alcun uomo di proferire; tale brano colloca dunque il Paradiso in cielo - e non in terra o altrove, in un luogo accessibile solo a coloro che sono "in Cristo", ossia tutti coloro che come il malfattore in croce, riconoscono il proprio peccato davanti a Dio e ripongono in Gesù Cristo la loro fede e la loro speranza. Secondo la Parola di Dio non vi è dunque alcuno strumento "scientifico" o filosofico che possa rendere visibile ed accessibile il Paradiso all'uomo, ma solo la fede in Gesù Cristo.
- (Apocalisse di Giovanni 2:7) Gesù Cristo stesso riferisce nella lettera indirizzata alla chiesa di Efeso, che egli trasmette all'Apostolo Giovanni per mezzo di un angelo (Apocalisse 1:1), che Egli darà da mangiare dell'albero della vita, che è in mezzo al Paradiso di Dio, a colui che vince. Ciò mostra che l'albero della vita, di cui si era persa traccia dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino di Eden, non è scomparso, ma si trova ora nel Paradiso di Dio, che Paolo riferisce essere al Terzo Cielo, dunque non in terra. La vittoria di cui parla Gesù è quella di cui parla la Lettera ai Romani 8:37, la quale si ha in virtù della fede in Gesù Cristo, Colui che ha portato sulla croce il peccato di tutta l'umanità affinché per mezzo della fede in Lui l'uomo possa essere salvato dalla giustizia divina, diventare Figlio di Dio, ed accedere al Paradiso che il peccato ha reso inaccessibile.
Le dottrine protestanti contestano la convinzione di altre correnti cristiane secondo cui il Paradiso è accessibile mediante le buone opere compiute sulla terra, attribuendo dunque all'uomo la possibilità di scampare al giudizio divino mediante i propri meriti e la propria giustizia. Tali dottrine si rifanno ai seguenti passi:
- (Lettera agli Efesini 2:8) "Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio"
- (Lettera ai Romani 5:1) "Giustificati dunque per fede, abbiamo pace presso Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore,"
Note
- ↑ Cfr. ad es. Genesi 2,9 laddove l'ebraico הגן (hag-gān, "del giardino") viene reso, nel greco antico proprio della Septuaginta, come του παραδείσου. Per distinguerlo dai giardini profani la Septuaginta lo chiama "paradiso di Dio"(παράδεισος του Θεού) ad esempio in Genesi, 13, 10. Si veda: Joachim Jeremias, voce "παράδεισος" in Gerhard Kittel (a cura di), Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia Paideia, 1974 (ed. or. 1954), vol. IX, coll. 579-599 e per un aggiornamento, Jan N. Bremmer, The Rise and Fall of the Afterlife, Londra-New York, Routledge 2002, Appendix 2: The Birth of the Term 'Paradise', pp. 109-127: "In order to provide a more exact answer to this question I will look at the term in the early Achaemenid period (section 1), the later Achaemenid period (section 2) and at its development in the post-Achaemenid era (section 3), and conclude with a discussion as to why the translators of Genesis opted for this specific word to translate the Hebrew term Gan Eden (section 4)." (p. 109)
- ↑ tr. it. in Paolo Sacchi (a cura di), Apocrifi dell'Antico Testamento, Torino, UTET, 1981, Vol. 1, p. 807.
- ↑ Cfr. Pierre Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, 1968, p. 857.
- ↑ L'avestico è stata una lingua parlata tra il II e il I millennio a.C. in una zona dell'Asia centrale ovvero nell'area dell'odierno Afghanistan. In questa lingua fu composto il libro sacro della religione mazdeista, l'Avestā. L'avestico viene diviso in avestico antico (o avestico gatico, indicato con l'acronimo OAv o anche GAv, a cui appartengono gli Yasna 28-34, 43-51, 53; lo Yasna Haptaŋhāiti 35-41; e le quattro grandi preghiere dello Yasna 27) e avestico recente (indicato con l'acronimo YAv, a cui appartiene il restante del corpus religioso). L'altra antica lingua iranica è l'antico persiano (OPers), parlato nell'impero achemenide (VI-IV sec. a.C.); il medo, lingua del popolo dei Medi, seppur certamente esistito non è attestato.
- ↑ Template:Cita web
- ↑ Cfr. Assyrian Dictionary, vol. 12; Chicago, University of Chicago, 2005, p. 182; ivi anche sul prestito linguistico dalle lingue iraniche.
- ↑ La figura del "serpente" (הנחש) prende corpo con l'ebraismo rabbinico dove viene presentato, in origine, come simile all'uomo, di statura gigantesca e il più astuto degli animali (Cfr. Berešit Rabbâ, XIX,1). In medesima e analoga letteratura, l'odio che muove il serpente nei confronti dell'uomo è motivato dall'invidia, causata anche dalla sua condizione coniugale (Cfr. anche Sanhedrin, 59b). Nella letteratura pseudoepigrafica il seduttore dell'uomo non è il serpente, ma Satana che lo provoca (cfr. Apocalisse di Mosè, 15-30).
- ↑ Cfr. Harry B. Partin, Paradise, in Encyclopedia of Religion, vol. 10. NY, Macmillan, 2004 (1987), p. 6982.
- ↑ Cfr. in tal senso Bill. T. Arnold, Genesis, Cambridge, Cambridge University Press, 2008, p.58.
- ↑ 10,0 10,1 10,2 Cfr. Chaim Cohen, Eden, Garden of, in The Oxford Dictionary of the Jewish Religion. Oxford, Oxford University Press, 1997, p.214
- ↑ Ad es. in Giobbe, 10,21.
- ↑ Cfr., ad esempio, con il termine sumerico dell'aldilà come kur-nu-gi4-a, "paese del non ritorno", in accadico: erṣet la târi.
- ↑ Si rimanda a Reuben Kashani, Encyclopedia Judaica, vol.5 , pp.510 e sgg.; NY, Gale, 2007
- ↑ 14,0 14,1 David Stern, Enciclopedia delle religioni vol.6, Milano, Jaca Book, (1987) 1993 p.17
- ↑ Cfr. Sul sacrificio, 2,5 e Allegoria delle leggi giudaiche, 1,105-108.
- ↑ David Stern, Enciclopedia delle religioni vol.6, Milano, Jaca Book, (1987) 1993 p.17-8.
- ↑ Template:Q
- ↑ "On Praying for the Departed"
Voci correlate
- Anima
- Cielo (religione)
- Chiesa cattolica
- Cristianesimo
- Dante Alighieri
- Divina Commedia
- Ebraismo
- Giardino dell'Eden
- Ghehinnom
- Inferno
- Limbo
- Purgatorio
- Regno dei Cieli
- Sheol
- Teologia